SUBLIME COME LA PAURA
Solitamente, quando sentiamo la parola “sublime”, la nostra mente ci porta ad immaginare qualcosa di estremamente bello e armonico, quasi divino. Eppure, la vera accezione del termine è totalmente opposta: tra il 1700 e il 1800, era considerato sublime tutto ciò che potesse destare sentimenti molto forti, che riconducevano ad una disarmonia demolitrice e allo stesso tempo affascinante. Tra i pensatori e gli artisti dell’epoca, si rifanno a questo ideale Immanuel Kant, Schopenhauer ed Edmund Burke; quest’ultimo, in particolare, approfondisce il discorso in uno dei suoi trattati, nel quale analizza i concetti di bello e di sublime, ai quali attribuisce significati ossimorici tra loro: il bello è generatore, in quanto nasce dall’armonia ed è legato ai rapporti umani. In contrapposizione, il sublime è l’orrendo che affascina, poiché crea nell’osservatore un’idea di terrore, dovuta alla consapevolezza del pericolo. È, inoltre, connesso alla natura che, con la sua violenza, potrebbe annientare l’umanità; l’apice del sublime è costituito, pertanto, dalla morte, la più grande paura umana: l’uomo è totalmente consapevole che non vi è scampo dal sonno eterno, che rappresenta uno dei più grandi arcani sui quali si sia mai interrogato. Di conseguenza, la paura di morire soffrendo è accompagnata dall’incertezza di cosa ci sia dopo. Esiste una vita dopo la morte? Mi reincarnerò? Andrò in Paradiso? E se mi ritrovassi all’Inferno? Tutte domande alle quali non possiamo trovare risposta, ma che tutt’ora continuano ad avere un alone di misticismo che attrae e spaventa al tempo stesso.
Dunque, il concetto di Sublime supera quello di bellezza: esso stimola il nostro cervello e lo spinge oltre l’immaginabile.
Vincenza Battista 4Dsa