Sfoghi di carne
Tormento, tortura, dolore… il sangue ci si gela nelle vene al sol posar lo sguardo sul dipinto. Il pennello è scivolato sulla tela con forti toni scuri e con impeccabile bravura ha plasmato un’immagine cruenta: due donne, senza il minimo rimorso, l’indifferenza dipinta in volto, trucidano con gelida imperturbabilità l’uomo che hanno davanti. Con tacito terrore osserviamo il quadro e, quasi di getto, ci chiediamo cosa possa mai aver spinto Artemisia Gentileschi a ricreare tali orrori.
L’opera, ricreata nel 1610 dalla cruda delicatezza della Gentileschi, riprende il celeberrimo dipinto di Caravaggio, Giuditta e Oloferne, storia che richiama le Sacre Scritture: Oloferne, spietato generale assiro, viene ingannato e decapitato dall’abile Giuditta, una delle prime eroine del mondo femminile. Giuditta che decapita Oloferne attinge alla tradizione biblica e alle esperienze personali della stessa artista e la spietata bellezza del dipinto ci lascia senza fiato. Ma come mai la Gentileschi ci propone un’opera così efferata, che con il suo dinamico realismo pare trascinarci nella scena? La storia che c’è dietro al dipinto va ben oltre la nostra immaginazione.
A soli diciassette anni, la giovane Artemisia Gentileschi viene violentata da un uomo senz’orgoglio e lasciata distrutta e piena di vergogna; l’artista si arma di coraggio e decide di denunciare lo stupratore che viene incriminato ma l’uomo non sconterà mai la sua pena. Artemisia decide di esprimersi nell’unico modo che conosce: l’arte. Pennellata dopo pennellata ricrea il volto del suo stupratore e lo incarna in quello di Oloferne ed ella stessa indossa i panni di Giuditta, concependo una scena piena di tensione, magnifica nella sua brutalità. È quasi inquietante come l’opera dei primi del XVII secolo possa essere così attuale: è terrificante sapere che migliaia di donne, e non solo, prendano coraggio e decidano di denunciare coloro che hanno portato via un pezzo della loro dignità, vengano scartate dai tribunali come carta straccia. Le vittime vengono ignorate e coloro che hanno corroso le loro vite vengono rilasciati come se nulla fossa accaduto, come se violentare qualcuno fosse un atto innocuo da non essere nemmeno considerato, come fosse una notizia che di sfuggita si ascolta al telegiornale e che mai nessuno ricorderà. Vogliamo davvero rimanere fermi a guardare? Proprio come adesso, che con tacito orrore osserviamo il dolore di Artemisia?
Martina Barnabà