LA MIMOSA ROSSA

L’8 marzo è una delle date più importanti del calendario, che sia del 1945, 2021 o del 2050. In questa giornata tutti gli uomini sono dal fioraio per comperare le mimose, il fiore simbolo della giornata, o impegnati a fare gli auguri alle donne che fanno parte della loro vita. La maggior parte delle persone, però, non conosce il suo vero significato, infatti ogni volta ci sono cose che tristemente ci troviamo a dover ribadire.

Ad esempio, che la Giornata Internazionale per Diritti della Donna ha avuto origine in un contesto di lotte politiche, femministe e proletarie, e ancora oggi esiste con lo scopo di fare il punto sulla condizione femminile del mondo e riflettere su quanto c’è ancora da fare per smantellare un sistema in cui la parità di genere è un’utopia (sì, siamo nel 2021). Che la ricorrenza ha origine nel 1917 (e non per l’incendio di una fabbrica tessile a New York in cui perirono centinaia di operaie, notizia totalmente falsa), anno in cui iniziò anche la Rivoluzione Russa: quel giorno migliaia di donne a San Pietroburgo guidarono infatti una manifestazione che rivendicava la fine della guerra, da cui si diramarono successive proteste che ebbero come esito ultimo il crollo dello zarismo. Che non esiste la retorica della “vera donna”, né altri modi giusti o sbagliati di essere donne.

Dal giorno della sua istituzione ci sono stati certo passi avanti, ma quelli da fare sono ancora troppi perché ci sia da festeggiare. Per cui anziché dispensare auguri, proviamo tutti a ricordarci di quando quella volta ci siamo comportati malissimo con una donna in quanto donna, di quando abbiamo ceduto al copione comune che riduce tutte le soggettività non maschili a una parte corporea, o di quando abbiamo approfittato di uno squilibrio di genere per ottenere un vantaggio sociale, emotivo, economico. Questa dovrebbe essere soprattutto una giornata di visione individuale del danno compiuto e di nuove intenzioni, un giorno di scuse e di desiderio di riparazione.

La società di oggi non garantisce alle donne ciò che garantisce agli uomini. Una donna su due non lavora, solo una su dieci è dirigente, il 70% di chi ha perso il lavoro nel 2020 è donna, guadagnano in media un quinto in meno rispetto agli uomini, solo una su tre è parlamentare… la lista potrebbe essere troppo lunga per poterla scrivere a mano, ma ciò basta per rendere l’idea di come le parole non corrispondano sempre a dei fatti. La violenza e gli omicidi domestici, ad esempio, nascono proprio dall’illusione creata dalla parola, la quale tiene vincolata ingannevolmente una persona alla volontà del proprio partner.

Anche a questo serve l’8 marzo, per ricordare sì le vittorie, ma soprattutto queste gravi sconfitte che non smettono di accadere. Tutti dovremmo fare qualcosa per far sì che tali orribili avvenimenti non accadano più. Un modo è quello di cambiare il modo di pensare su cui si fonda la società. Il sessismo, che come afferma Treccani “indica l’atteggiamento di chi tende a giustificare, promuovere o difendere l’idea dell’inferiorità del sesso femminile rispetto a quello maschile”, è ovunque intorno a noi, a volte reso sempre più “normale” da subdole modalità di diffusione, quali i messaggi subliminali o dalle parole di personaggi influenti o persino di qualche nostro collega. Il mio genere (così come il mio orientamento sessuale, la mia provenienza, il colore della mia pelle, il mio credo religioso…) non può essere oggetto di discriminazione. O almeno non dovrebbe esserlo. Questo dice il femminismo, vale a dire il contrario del sessismo.

Se cominciassimo tutti ad affrontare nel modo appropriato questa fondamentale giornata, molto probabilmente compiremmo un passo verso la futilità di questa “festa”. Infatti, da quel momento l’umanità avrà finalmente raggiunto la parità di genere ed avrà acquisito la consapevolezza dell’enorme forza che si ha solamente stando uniti.  

Alessandro Pannone

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